LECTIO DIVINA SUL VANGELO domenicale - 21
19 marzo 2017 – 3ª domenica di Quaresima - Ciclo liturgico: anno A
Signore, tu sei veramente il salvatore del mondo;
dammi dell’acqua viva, perché non abbia più sete.
Giovanni 4,5-42 (Es 17,3-7 - Sal 94 - Rm 5,1-2,5-8)
O Dio, sorgente della vita, tu offri all’umanità riarsa dalla sete l’acqua viva della grazia che scaturisce dalla roccia, Cristo salvatore; concedi al tuo popolo il dono dello Spirito, perché sappia professare con forza la sua fede, e annunzi con gioia le meraviglie del tuo amore.
Spunti per la riflessione
Lo sposo e la sposa
La sta aspettando. Anche se è stanco, perché sempre Dio ci insegue.
Eccolo lo sposo che aspetta la sposa per chiederle conto della sua infedeltà.
A chiedere conto a quel pezzo di Israele, la Samaria, caduta in mani nemiche da secoli e rappresentata da quella donna che, sola, viene a far acqua al pozzo nell’ora più assurda della giornata.
Per non essere vista, immaginiamo. Il paese è piccolo e la gente mormora.
E lei non ne può davvero più di essere giudicata.
Come me. come te, amico lettore.
Di dover essere come gli altri vogliono, vorrebbero, dicono.
Stanca lei. Stanco Dio.
Siede, Dio. Stanco.
E chiede alla donna di dissetarlo. Ha sete della sua fede ormai spenta.
Ha sete di lei.
Abbordaggi
Tentenna la donna.
Nessun maschio parla ad una donna. Nessun ebreo parla ad un samaritano.
Tenta un abbordaggio, il viandante, stia alla larga.
Ha ragione, la samaritana, Dio la sta corteggiando, perché al pozzo Isacco incontrò la sua Rebecca. Al pozzo Mosè si innamorò di Zippora.
Gesù non si scoraggia… Uomo, donna, ebreo, samaritano… che importa definirsi?
Siamo tutti degli assetati. Solo che lui, il viandante, afferma di avere un’acqua di sorgente.
Ora Gesù ha ottenuto l’attenzione della donna. Come fa ad avere l’acqua di sorgente se non ha nemmeno con cosa attingere?
Lei parla dell’acqua da bere. Lui di quella che disseta.
Non è più respingente la donna. Ora ascolta questo interessante sbruffone.
Gesù supera ancora qualche perplessità della samaritana: sì, lui è più di Giacobbe che diede al villaggio quel pozzo.
Ora chiede da bere, la donna.
È lei che va dissetata.
Mettersi in gioco
E Gesù alza la posta.
Quando mettiamo a fuoco l’immenso desiderio di felicità che portiamo nel cuore, quando giungiamo ad esprimere quel desiderio, quel grido, Dio ci chiede di essere autentici.
Gesù chiede alla donna di chiamare suo marito. Lei si irrigidisce.
Ma è sincera.
Non la vuole giudicare, il Signore. Ha avuto una vita frammentata la donna, lasciata quattro volte. Illusa e abbandonata. Uno strazio.
Ma il vero sposo è davanti a lei e le chiede ragione della sua vita. Non per giudicarla, ma per salvarla. Per farle vedere che quell’amore elemosinato e negato, in realtà, le è per sempre donato.
La tensione, ora, è alle stelle. La donna non sopporta tanta verità, la butta sul religioso.
Gesù le ha letto la vita, dev’essere un profeta. Allora in quale tempio occorre venerare Dio, Gerusalemme o Garizim?
Domanda inutile: lei, in quanto pubblica peccatrice, non può entrare in nessuno dei due templi che offrono riparo solo ai puri e ai giusti.
E Gesù la libera da ogni inutile senso di colpa: nel tuo cuore incontrerai Dio.
Il suo cuore è tempio. E Dio lo abita anche se la sua vita affettiva è marcia.
Colpo finale
Ci siamo.
Vacilla.
Ha abbandonato ogni difesa. Non sa nemmeno cosa dire.
Arriverà il Messia – borbotta – dirà, spiegherà, farà.
No, risponde Gesù, il futuro è qui, ora. Il futuro si è realizzato.
Il Messia è già qui. Davanti a te.
Lascia la brocca in terra, la donna. Travolta.
Corre da coloro che evitava. Grida del suo incontro.
Perché chi si sente amato diventa contagioso. Deborda.
E le sue tenebre diventano l’ombra della luce.
Noi
Eccoci, amici.
Assetati come la samaritana.
Come lei feriti e diffidenti.
Come lei giudicati dai benpensanti che fioriscono come la gramigna, anche nella Chiesa.
Eccoci. Se abbiamo il coraggio di farci incontrare. E di abbassare le difese.
Eccoci, se siamo onesti, nudi e spogliati dalle troppe resistenze che impediscono a Dio di incontrarci.
Capaci di rinascere, noi che ci siamo dissetati dell’acqua viva.
Capaci di annunciare a tutti quanti siamo amati.
Oltre il deserto, verso il Tabor, Dio ci aspetta.
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L’Autore
Paolo Curtaz
Cammino quaresimale
1ª domenica Mt 4,1-11 le tentazioni io sono la salvezza
2ª domenica Mt 17,1-9 la Trasfigurazione io sono la Parola
3ª domenica Gv 4,5-42 la Samaritana io sono l’acqua viva
4ª domenica Gv 9,1-41 il cieco nato io sono la luce del mondo
5ª domenica Gv 11,1-45 Lazzaro io sono la resurrezione e la vita
Esegesi biblica
Colloquio con la samaritana (Gv 4,1-45)
L’evangelista si sofferma a lungo su quest’episodio samaritano, forse perché i samaritani dovevano formare un gruppo importante della sua comunità. Nel raccontare quest’episodio, mentre l’insuccesso della predicazione di Gesù presso i giudei è evidente, Giovanni si compiace di dilungarsi su questa prima piena riuscita della rivelazione di Gesù.
Giovanni è il solo che riferisce questa storia. Matteo 10,5 racconta di evitare i villaggi samaritani. Anche Luca parla dei samaritani (10, 29-27; 17, 11-19), ma non ha nulla in comune con Giovanni. Quale credibilità storica dobbiamo attribuire a questo racconto? Senza dubbio l’evangelista conosce bene le usanze e le credenze dei samaritani, ma la storia serve da pretesto a un insegnamento talmente elaborato che bisogna rinunziare a vedere in esso una cronaca ritratta dal vero.
Quest’episodio si divide in tre parti:
a) Gesù e la Samaritana (vv. 1-26);
b) Gesù e i discepoli (vv. 27-38);
c) Gesù e i samaritani (vv. 39-42).
a) Gesù e la Samaritana (4,1-26)
Con molta abilità il narratore introduce la maggior parte degli elementi essenziali al racconto. La frase: “Egli doveva passare per la Samaria” sottolinea una necessità misteriosa: Gesù ha scelto la via più breve, un viaggio di tre giorni, per passare dalla Giudea alla Galilea, attraverso il territorio dei samaritani, i quali mostravano di frequente la loro ostilità contro i pellegrini giudei e galilei. L’altro passaggio, invece (più faticoso a causa del caldo), attraverso la valle del Giordano, era raccomandato ai giudei desiderosi di conservare la loro purezza cultuale, senza passare per la Samaria impura.
Di Gesù, il pellegrino, l’introduzione precisa che era affaticato, sottolineando così una nota di umanità. Nei pressi di un pozzo(1) che la tradizione attribuiva al patriarca Giacobbe, nel terreno lasciato a suo figlio Giuseppe (Gn 48,22), Gesù incontra all’ora sesta, cioè a mezzogiorno, una donna(2) di Samaria. Non solo era inaudito che un rabbino si fermasse a parlare familiarmente in pubblico con una donna, ma era altrettanto inconcepibile che un giudeo chiedesse dell’acqua ad un samaritano. I giudei consideravano come ritualmente impuri i samaritani e, di conseguenza, gli utensili che adoperavano per mangiare e bere. Gesù non ha scrupoli di questo genere, i vangeli hanno sottolineato di frequente il suo atteggiamento libero di fronte agli aspetti rituali dei giudei.
Il dialogo con la donna inizia con una richiesta di Gesù: “Dammi da bere”. Il rifiuto della donna di dargli da bere va visto in una visione di intolleranza, cioè di rigido rifiuto verso l’altro popolo: “i Giudei non hanno rapporti con i Samaritani”.
La risposta di Gesù (“Se tu conoscessi il dono di Dio…”) è carica di insegnamenti. L’interesse si sposta dal pozzo materiale verso quest’uomo, questo giudeo affaticato, assetato, che nella sua privazione si presenta come colui che può dare. E il dono proposto non ha più alcun rapporto con l’acqua del pozzo: è un’acqua viva. Egli introduce nel dialogo una dimensione misteriosa: dal pozzo materiale al quale chiedeva acqua, sposta l’interesse su se stesso, dono di Dio, capace di dare un’acqua viva. Come Nicodemo anche la donna interpreta le parole di Gesù alla lettera: “Non hai neppure un secchio… da dove prendi dunque l’acqua viva?”. Persino Giacobbe(3) dovette rassegnarsi a fare uso del pozzo.
A questo punto Gesù comincia a spiegare il suo pensiero: Sir 24,20 afferma che colui che si abbevera alla sapienza(4) avrà di nuovo sete, cioè, il suo desiderio della sapienza diventerà sempre più insaziabile. Tale desiderio, quindi, non può mai essere soddisfatto. Al contrario, l’acqua che Cristo darà soddisferà per sempre la sete; chiunque beva di questa acqua avrà dentro se stesso la sorgente della vita eterna.
La donna non ha ancora capito nulla e chiede, forse ironicamente, che le venga data quest’acqua meravigliosa in grado di dissetarla una volta per sempre e di risparmiarle tutti quei viaggi al pozzo.
La risposta di Gesù la convince che egli possiede una conoscenza sovrumana (“Và a chiamare tuo marito…” vv. 15-18); essa viene portata gradualmente a rendersi conto che le parole di Gesù dovevano avere un significato ben più profondo.
A questo punto la donna riconosce Gesù come un profeta. Prima essa aveva visto in lui un giudeo. Il filo comune che attraversa le tappe di questa donna per riconoscere Gesù, è l’interiorizzazione. Alla sorgente esteriore si è sostituita quella interiore, all’osservanza esteriore della legge si è sostituita quella interiore; al culto esterno, quello interno. Questo culto spirituale deriva dalla natura stessa di Dio (Dio è spirito).
Gesù dice che: “I veri adoratori adoreranno il Padre in Spirito e verità”(5). Questo culto in Spirito e verità è quello che ogni credente abitato dallo Spirito rende al Padre. Esso è interiore non perché localizzato nella parte più intima di ciascuno di noi, ma perché è opera dello Spirito (che è verità), il quale suscita in noi l’adorazione al Padre. Tale ispirazione proviene dalla presenza e dalla permanenza dello Spirito in noi. All’epoca storica della samaritana, lo Spirito doveva ancora venire; al tempo dell’evangelista, è già venuto.
Tale nascita di un culto spirituale interiorizzato si fonda sulla rivelazione del mistero di Dio: “Dio è Spirito”(6) (v. 24). Questa affermazione prende le distanze da tutte le rappresentazioni, le immagini, i santuari. Dio è al di là del linguaggio stesso dell’uomo: è all’opposto di ciò che è “carnale”. In una simile rivelazione, il rapporto con i luoghi, con la stessa terra, si relativizza. Ormai Dio non è più legato alla terra, per quanta santa essa sia, ma abita nel cuore di ogni uomo, nel quale lo Spirito ha posto la sua dimora.
La donna arriva così al termine della sue esperienza spirituale (vv. 25-26). Ha seguito Gesù quando le ha annunciato il dono dello Spirito, quando le ha rivelato la sua verità interiore, quando ha chiarito il suo rapporto con la religione. Fino a questo momento, Gesù era il rivelatore di un tempo nuovo. Resta da fare l’ultimo passo in questa immersione all’interno del mondo della rivelazione. Sappiamo ben poco della fede messianica che i samaritani (per i quali soltanto il Pentateuco era Scrittura ispirata) avevano in comune con i giudei; essi designavano il Messia con l’appellativo di Ta’eb, “colui che ritorna” o “colui che restaura”. Gesù accetta questa identificazione della sua persona e si rivela come non farà mai altrove nel vangelo di Giovanni: “Sono io che ti parlo”. L’espressione “Io sono” riprende il titolo stesso del Signore al Sinai. La donna allora può andare via abbandonando la sua giara: non ne avrà più bisogno. Quella che non riusciva a saziare la sua sete di vivere e di esistere, ha incontrato un uomo che ha messo in lei una sorgente di vita che le dà un’autonomia e un senso.
b) Gesù e i discepoli (vv. 27-38)
Ora i discepoli ritornano dalla loro commissione (v. 8) e si meravigliano non tanto che Gesù parli con una samaritana quanto che si intrattenga con una donna. Però, conoscendo bene il loro maestro, non ardiscono fare alcun commento negativo mentre egli è presente.
Nell’andarsene, la donna lasciò la sua brocca dell’acqua perché Gesù potesse berne. È possibile che Giovanni veda qui un significato simbolico: ora che la donna è arrivata alla sorgente dell’acqua viva, non sente più il bisogno dell’altra (v. 15).
Nel frattempo anche i discepoli danno prova di essere lenti ad affermare il vero significato delle profonde parole di Gesù che essi interpretano soltanto nel loro senso materiale e superficiale.
Gesù si spiega meglio citando un proverbio palestinese: tra la semina e il raccolto corre un periodo di quattro mesi. Il raccolto, però, di cui parla Gesù (il raccolto sul campo seminato da Dio) è già pronto ora. La prova di ciò è nella donna che in questo preciso momento sta affrettandosi verso il villaggio per rendere testimonianza ai suoi compaesani i quali torneranno subito a vedere essi stessi (v. 42). In questo racconto non esiste alcun intervallo tra la semina e la messe, ma il mietitore (Dio stesso) si identifica con il seminatore (Gesù) ed entrambi si rallegrano in pari tempo. Si è avverato qui il vecchio proverbio ma non nel senso che gli veniva attribuito (“C’è chi semina e c’è chi raccoglie”), dato che in questo raccolto Dio è sia il seminatore che il mietitore.
c) Gesù e i samaritani (vv. 39-42).
La conclusione reintroduce in scena la donna che non cerca di serbare gelosamente per sé colui che si è rivelato a lei. Il cammino della fede è giunto al suo termine: i samaritani seguono il modello di tutti coloro che hanno la vera fede. Avendo in primo tempo creduto in base alla testimonianza della donna, i samaritani finiscono per credere in base alla parola stessa di Gesù. Essi non soltanto credono, ma riconoscono pure in lui qualcosa di più (“Salvatore del mondo”) del Messia a cui la donna aveva reso testimonianza.
Tra la fede imperfetta dei giudei basata sulla vista dei segni (2, 23-25), quella dell’intellettuale Nicodemo pronto a riconoscere in Gesù un inviato di Dio ma incapace di aderire alla fede totale in lui, e il percorso compiuto dai samaritani, c’è un abisso.
Il racconto descrive l’adesione progressiva al mistero di Gesù di una donna (e attraverso di lei di una comunità): giudeo (v. 9), Signore (v. 11), più grande del nostro padre Giacobbe (v. 12), profeta (v. 19), Cristo (vv. 26-29), Salvatore del mondo (v. 42).
NOTE
“I samaritani”. Alla morte di Salomone (930 a.C.), figlio di Davide, il suo regno venne diviso in due parti: il regno meridionale, o di Giuda, con capitale Gerusalemme, e il regno settentrionale, o d’Israele, con capitale prima Sichem, poi Samaria, che cadde nell’anno 721 a.C. ad opera degli Assiri. Dalla fusione degli abitanti assiri con i giudei sorse il popolo samaritano. Tra giudei e samaritani le relazioni si deteriorarono progressivamente, soprattutto dopo il ritorno dei giudei dall’esilio (fine sec. VI). L’offerta dei samaritani di ricostruire il tempio venne rifiutata dai giudei perché consideravano i samaritani come un popolo semipagano (2 Re 17, 24-41). Nel corso del sec. IV i samaritani si costruirono un tempio sul monte Garizìm, e lo scisma fu così consumato. Durante i secoli che precedettero la venuta di Gesù, i rapporti peggiorarono e la tensione aumentò quando il re Giovanni Arcano (135-104 a.C.) conquistò Sichem e distrusse il tempio sul monte Garizìm. Al tempo di Gesù gli attriti erano frequenti e talvolta giungevano allo spargimento di sangue. Dal punto di vista religioso, i samaritani riconoscevano il solo Pentateuco (cioè i primi cinque libri della Bibbia) come loro testo sacro. Pur osservando il sabato e altre feste, come il rito della circoncisione, erano ritenuti “impuri” (cioè eretici) dai giudei. Nella città di Nablus esiste ancora oggi una piccola comunità che segue le antiche tradizioni religiose samaritane.
[1] “Il pozzo”, nelle civiltà antiche, è un luogo simbolico. In un ambiente fatto di aridità e di deserto, il pozzo è il luogo della vita, ma è anche lo spazio privilegiato degli incontri amorosi: ricordiamo l’incontro di Isacco con Rebecca (Gn 24), di Giacobbe con Rachele (Gn 29) e di Mosè con Zippora (Es 2, 15-22). Nella più ampia tradizione giudaica, il pozzo e l’acqua rappresentano la Legge, la Sapienza, la Liberazione di Dio.
[2] Il dialogo con la Samaritana fa comprendere come Gesù, nel suo ministero, abbia infranto ogni barriera. I rabbini arrivavano al punto di non parlare in pubblico neppure con la propria moglie. Una loro regola prescriveva che era preferibile “bruciare le parole della legge piuttosto che perdere tempo nell’insegnarle alle donne”, ritenute incapaci di cultura. Superando le indicazioni di Siracide 9, 1-9, Gesù propone una visione innovativa, esaltando nelle donne la dignità e la capacità di capire e di annunziare i misteri stessi di Dio.
[3] Anche i samaritani rivendicavano la loro discendenza dai patriarchi, attraverso le tribù di Efraim e Manasse.
[4] L’autore sacro identifica la sapienza con la Legge. La sapienza è la Torà, il libro che contiene le giuste norme di condotta per gli uomini. La donna, infatti, precedentemente aveva detto a Gesù: “Il nostro padre Giacobbe, diede a noi questo pozzo”. Con queste parole l’acqua del pozzo viene etichettata come “acqua del giudaismo” (cfr. 2,6: “Vi erano là sei anfore di pietra per la purificazione dei giudei”).
[5] Le due parole “Spirito e verità” esprimono un unico concetto. Nel Prologo Gv 1,14 usa due termini “pieno di grazia e fedeltà” che designano le perfezioni caratteristiche del Dio nel patto con Israele. In Es 24,6 essi appaiono abbinati in una virtuale definizione di Dio. “Grazia” era il termine utilizzato nell’AT per indicare il tenero amore mostrato da Dio a Israele nell’elezione e nel patto. “Fedeltà” designa la fedeltà di Dio nei suoi impegni presi in virtù del patto. Gv usa charis (grazia) solo nel Prologo, ma aletheia (fedeltà) ricorre circa 25 volte come uno dei termini tecnici del vangelo. Nella maggior parte dei casi esso va tradotto nel suo significato greco più comune “verità”, perché esso designa, come già nell’AT, la rivelazione divina, e viene pertanto identificato con Gesù stesso (”Io sono la via, la verità e la vita” 14,6).
[6] “Spirito” nel senso biblico non designa la natura di Dio ma la sua attività vivificante. Dio è Spirito in quanto dona lo Spirito (1,32: “Ho visto lo Spirito scendere come una colomba dal cielo e rimanere su di lui”). Nel medesimo senso Dio è luce e amore (1 Gv 1,5; 4,8).